lunedì 11 gennaio 2010

QULACHE CRISTIANO PARLA


Riporto l'omelia del parroco di Rosarno che mi sembra chiara, netta e in linea a quanto dicevo nell'ultimo post.

"Bisogna aiutare i fratelli che sbagliano", spiega il sacerdote. "E in questi giorni che stiamo vivendo qualcuno ha sbagliato. Ma questo non ci autorizza a colpirlo, a inseguirlo, a ucciderlo, a cacciarlo. Ci obbliga a capire, a fermarci. Per non sbagliare più. Questo dobbiamo fare se vogliamo essere dei cristiani". Il parroco lascia l'altare, scende tra la gente. Parla a braccio, stringe con le mani il microfono. "Se ho un fratello in famiglia non posso picchiarlo o cacciarlo di casa perché ha rotto un vaso. Devo andargli incontro, sostenerlo, capire cosa è accaduto". Allarga le braccia, sorride: "Vedo finalmente questa chiesa piena, sono contento che moltissimi tra voi sono tornati. Ma vedo anche che manca qualcuno". Don Pino sospira, si rivolge ai bambini. "Lo vedete anche voi. Non c'è John. Vi ricordate di lui? Veniva ogni domenica". I bambini annuiscono. I genitori, dietro, restano in silenzio. Tesi e consapevoli. "Mancano anche Christian, Luarent. E Didou, il piccolo Didou. Mancano i suoi genitori. Erano come voi, con la pelle più scura, venivano dall'Africa. Non ci sono perché li hanno cacciati"
"Mi rivolgo ai più grandi, ai genitori. Perché loro hanno un ruolo importante, formativo. A voi dico: non vi fate trascinare verso ragionamenti e reazioni che non sono da cristiani. E' facile dire: abbiamo ragione noi. Quando siete nati, Dio è stato chiaro: questo è mio figlio. Lo siamo tutti. Tutti abbiamo diritto alla vita, una vita dignitosa, che non ci umili. Anche quelli di un altro colore, anche quelli che sbagliano sempre. Se vogliamo essere cristiani noi non possiamo avere sentimenti di odio e di disprezzo".
"Possiamo anche dire che abbiamo sbagliato. Che i miei fratelli, bianchi e neri hanno sbagliato. Ma lo dobbiamo dire sempre. Non solo quando qualcuno ci sfascia la macchina. Lo dobbiamo sostenere con forza anche quando altri fanno delle cose ancora più gravi. Cose terribili. Dobbiamo avere il coraggio di gridare e denunciare".

Il sacerdote indica il presepe: "Non avrebbe senso aver allestito questa opera. Non avrebbe senso festeggiare il Natale. Meglio distruggerlo e metterlo sotto i piedi. Dobbiamo celebrarlo convinti dei valori che lo rappresentano. Perché crediamo nella misericordia e nella solidarietà. Se invece non abbiamo la forza di ribbellarci ai soprusi e alle ingiustizie e siamo pronti alle violenze nei confronti dei più deboli, allora non veniamo più in chiesa. Dio saprà giudicare. Saprà chi sono i suoi figli".


Attendiamo con ansia, come nel canto gregoriano Attende Domine, che si passi dalle parole ai fatti.

SOLUZIONI FUTURE e FAVOLE

Avrei una soluzione, ovviemente utopistica.
Se a Rosarno ancora esitono cristiani (cioè maschi e femmine che seguono Cristo), si potrebbe accogliere, uno per famiglia, un derelitto di questi che vivono nelle bidonville (avete visto il post precedente?).
Le famiglie accoglienti creeranno intorno a loro un nuovo clima, perchè gli altri, sia quelli più sospettosi, sia quelli più mansueti, dovranno fare, a poco a poco, conoscenza con il nuovo ospite. E si renderanno conto che hanno molto in comune. Il nuovo ospite racconterà la sua storia in famiglia, la cosa si spargerà, grazie al lato positivo del pettegolezzo, e la famosa integrzione sarà possibile. Ai figli non verrà nemmeno in mente di maltrattare uno che è di famiglia. Se non sono figli incorreggibili, vedranno gli adulti trattano in modo diverso gli "stranieri" e capiranno.
Mano a mano che questa mentalità si diffonderà, anche i datori di lavori capiranno che non possono trattare come bestie queste persone e si ingegneranno a costruire dei primi alloggi e/o a dare paghe giuste e equilibrate.
Il presidente del consiglio (non il presente) verrà a congratularsi con tutta la cittadina, stringerà le mani commosso e con le lacrime agli occhi e farà un discorso alla TV esortando tutte le cittadine del sud a fare altrettanto, con l'aiuto dello Stato che, avendo ritirato tutte le truppe dall'Afghanistan, Libano e Iraq, e avendo venduto (non all'asta) tutti i beni della mafia, potrà spendere molti soldi per queste cose. In questo modo, nasceranno anche nuove aziende, bilaterali, come ad esempio aziende turistiche, di viaggio, che potranno legare i due Paesi, l'immigrante e l'emigrante.
Ovviamente, questo non accadrà qui.

venerdì 8 gennaio 2010

LE EQUAZIONI DI (STO) MARONI


Secondo il mastino Roberto Maroni, riguardo i disordini di Rosarno, a procovarli sarebbe il degrado, a sua volta ingeneratosi dalla troppa tolleranza che, a sua volta (usa le deduzioni come io uso la carta igienica) sarebbe stata generata dall'immigrazione clandestina.
Lasciamo perdere il fatto che a protestare non erano clandestini, ma anzi lavoratori che dissodano le terre calabresi e italiane per farci trovare ogni giorno i prodotti che allietano la nostra pancia italiana; secondo lui il degrado non è responsabilità del governo che dell'immigrazione se ne infischia o si limita solo a creare posti fittizi di lavoro part-time (vedi alla voce: prendere le impronte nei campi rom) o a costringere i marinai a obbedire a leggi barbare (vedi alla voce: rimandare   indietro i moribondi arrivati per un pelo sulle barcaiole). Per il lui il degrado non è causato dal costringere a far vivere delle persone (clandestine o meno che siano) in 15 metri quadri in gruppi di 20, in fattorie abbandonate (venite nella piana del Sele!). Per lui il degrado non è causato dai datori di lavoro che fanno vivere i loro lavoratori così. Lui fa l'equazione: straniero = clandestino = criminale.
Per lui il degrado non è rappresentato dal fatto che quotidianamente queste persone (per lui tutte clandestine, secondo l'equazione di sopra) vengano maltrattate, prese a pistolettate (ricordate quello preso di mira dal balcone, a Napoli?), picchiate (ricordate il giovane morto a Milano picchiato con una spranga?).
Per questo, anche gli spari dei calabresi, che sono noti, non hanno tardato a difendere la città di Rosarno dal disordine (e se lo chiamassimo rabbia, reale rabbia, o diritto a manifestare?Chissà poi come si ingenerano i disordini...Berlusoni li genera-ingenera dal palco).

Di equazioni come quella di Maroni ne è piena la storia del 1900. Speriamo non anche del prossimo secolo.